Vito
9 dicembre 2012
Ospedale San Paolo - Milano
Ho visitato il vostro sito ed ho visto una mia foto vicino al mio letto c'era uno dei medici che mi hanno accompagnato in questa mia straordinaria avventura che ho vissuto nei cinque mesi di permanenza nel reparto di rianimazione del S. Paolo. Sicuramente mi stava rassicurando e incitando a non mollare come facevano tutti medici e infermieri. È stata un'esperienza dura ma straordinaria ho conosciuto durante la mia permanenza professionisti seri ma soprattutto persone, persone capaci di darti quella sicurezza necessaria a superare i momenti difficili. Quando sei in un letto della Rianimazione hai bisogno di terapie mediche per guarire ma hai bisogno anche di parole di un buffetto di una carezza gesti che ti fanno sentire ancora vivo, io ho avuto tutto questo. Ora sto bene dopo la rianimazione sono stato ancora quattro mesi in Chirurgia e poi a casa tre mesi di assistenza sanitaria domiciliare per le medicazioni e la riabilitazione, ora sono passati quasi due anni, sono cambiate tutte le priorità, prima guardavo le cose di tutti i giorni ma non le vedevo, ora le vedo e sono in grado di distinguere le cose importanti da quelle che non lo sono. Quando racconto la mia storia alle persone che conosco se hanno qualche problema di salute gli dico che non bisogna mollare mai, come avete fatto voi con me. Ho iniziato a scrivere qualcosa di questa mia esperienza a volte però devo smettere perché i ricordi sono ancora molto vivi e l'emozione forte mi impedisce di proseguire appena mi riprendo finisco. Se posso essere utile in qualche modo a qualcuno sono a disposizione, una delle cose importanti della vita per me e' diventata quella di dedicare un po' di tempo a chi ne ha bisogno. Un saluto ed un abbraccio a tutti medici infermieri personale e di servizio che ho conosciuto durante la mia permanenza in Terapia Intensiva.
Italo
22 gennaio 2013
Ospedale Maggiore - Bologna
Io ho avuto un arresto cardiaco il 25 aprile 2013 in un parco pubblico al quartiere Reno a Bologna, il pronto intervento del 118 con il medico Calanchi è intervenuto e mi hanno soccorso quando tutti mi davano già morto, merito della testardaggine dell'equipe intervenuta (la testimonianza del pubblico presente mi ha informato quasi 10 min senza respirare e 30 min abbondanti di arresto) sono riusciti a portarmi al ps del Maggiore dove venivo ricoverato in terapia intensiva e rianimazione al 10° piano. Anche qui grazie alla bravura dei medici (Maioli, Bassani, Massanti ecc, e degli infermieri tutti ) mi venivano lavati i polmoni intasati dal vomito per un tempo esageratamente lungo (3 ore c/a) poi messo sotto ghiaccio. Insomma ero morto ma il miracolo non l'ha fatto Dio ma la capacità dei medici e del personale tutto disponibilissimi nonostante al risveglio fossi fuori di testa e privo di freni inibitori, cantavo e chiamavo disturbando tutti. Mi hanno poi trasferito il cardiologia dove la fortuna mi ha assistito anche in questo reparto dove ho trovato il personale preparatissimo e disponibile anche ai rapporti umani (mi sono anche divertito) la fine di questa lunga storia è che sono vivo e senza nessun problema neurologico, di memoria, motorio ecc...
Grazie, grazie, grazie sarete sempre i miei angeli custodi anche se mi è impossibile ricordarvi tutti nome per nome ma nel mio cuore ci siete tutti quanti.
Bravi
Silvia
Luglio 2014
Ospedale A. Manzoni - Lecco
Mi propongo da qualche tempo di scrivere stralci della mia storia. Sono una ex paziente del reparto di rianimazione di un ospedale lombardo. Sono una giovane donna di 31 anni, attualmente sana ed in un periodo particolarmente felice della mia vita.
La mattina del 23 aprile 2012 mi stavo recando da sola al lavoro sulla strada che ogni giorno avevo percorso in auto. Il momento dello schianto non l'ho mai ricordato e nonostante alcuni flashback sopraggiunti nei mesi successivi alla mia ripresa fisica, non lo ricordo tuttora. Ricordo però la pioggia battente, la perdita improvvisa della visuale e l'immagine delle mie mani sul volante, poi alcune frasi dei soccorritori e la sensazione di freddo, i jeans bagnati, appiccicati alle gambe.
Mi sono risvegliata all'incirca intorno al 17 Maggio, era passato quasi un mese, in un luogo per me completamente alieno, una stanza sconosciuta dotata di monitor ed un orologio proprio davanti a me. Ho messo a fuoco il volto di mia mamma ed ho sentito per prima, la sua voce; pronunciava parole che mi hanno completamente tranquillizzata in quel momento: "Ciao Silvia...va tutto bene. Va tutto bene..", poi mi sono di nuovo "addormentata".
Nelle settimane successive sono stata a tratti vigile e sempre più presente a me stessa, nel letto della rianimazione. Finalmente il 5 giugno sono stata dimessa e trasferita nel reparto di chirurgia dello stesso ospedale. La degenza è durata fino al 21 giugno e poi sono stata trasferita in un altro presidio ospedaliero per la riabilitazione fino al 14 luglio, data di dimissione finale.
A distanza di due anni, dopo una lunga riabilitazione fisica e psicologica, mi ritrovo a scrivere di questa esperienza di vita e mi commuove ricordare che mi ero ripromessa di farlo proprio nel giorno in cui ero riuscita a comunicare scrivendo, in terapia intensiva. La mia diagnosi all'ingresso in reparto era: "politrauma, shock emorragico, arresto cardiaco da FV, lacerazione polmonare LIS, insufficienza respiratoria, fratture costali multiple, frattura spalla sinistra, emoperitoneo, fratture vertebrali...", parole che oggi pronuncio ancora con un'emozione lungo tutto il corpo, giù fino alle gambe, ma che pronuncio consapevole di essere qui, viva.
L'esperienza della terapia intensiva è un'esperienza limite; ciò che senti, provi, osservi, dalla tua postazione immobile, per giorni, ore, minuti lunghissimi è molto intenso. In quel frangente desideravo un bicchiere d'acqua frizzante perché le bollicine non sono immobili e sembravano già vita. Facevo (io o la macchina?) un sospiro di sollievo quando mio padre entrava finalmente nella stanza con il camice, i guanti e tutto il resto ed era la faccia di chi volevo vedere ed avere vicino. Il suo arrivo scandiva anche il passare del tempo, significava che le ore successive sarebbero trascorse un po' più piacevolmente e forse velocemente. Osservavo i medici e gli infermieri che si alternavano con i loro turni, uno dopo l'altro vicino, al mio letto: monitoravano, curavano, scrivevano al pc, alcuni, più propensi, attenti, bravi... più umani, parlavano con me, alcuni mi coccolavano proprio. Alcuni mi raccontavano delle cose della loro vita e finalmente, per un attimo, ero nella loro stessa condizione, due persone che dialogano, alla pari, anche se io dialogavo a gesti o sguardi. La notte era lunga e stare da sola senza le gocce che mi aiutavano a dormire era difficile (ne sa qualcosa qualche infermiera che devo ringraziare per la sua infinita pazienza, vicinanza e vitalità). Il respiratore e la nutrizione erano fastidiosi, l'aspiratore (di catarro?) lo consideravo un grande amico. I rumori erano ripetitivi, gli allarmi suonavano. La sensazione di nausea e vomito era costante, mi sembrava di essere sempre con lo stomaco pieno, ma se mi massaggiavano i piedi, per un poco me la dimenticavo questa sensazione. Mia sorella mi massaggiava le gambe con una crema e mi diceva "..senti che buon profumo", il massaggio era bellissimo però il profumo non lo sentivo minimamente ma non riuscivo a farlo capire a lei. Il collare era insopportabile, soprattutto per il foro del collo dal quale usciva la cannula e quando c'era catarro, se lo aspiravano un po' in ritardo rispetto a quando avrei voluto, che fastidio!! Spesso ero insofferente in rianimazione. Era un piacere quando mi lavavano i denti, la sensazione fresca, una vera gioia della vita. Una gioia della rinascita è stata quando le fisioterapiste, con tirocinante, mi hanno aiutata a stare seduta per la prima volta e sono riuscita per qualche secondo a tenere su la testa, non ciondolava più. Anche se è suonato l'allarme e mi hanno dovuto rimettere subito sdraiata, è stata una gioia della vita essere riuscita a tenere la testa dritta sul collo e guardare avanti, dritto negli occhi di chi mi stava incitando e diceva "bravissima!!" E' stata una gioia della vita vedere che potevo muovere la mano, anche se c'erano dei tagli che non conoscevo.
C'erano persone sempre molto diverse che si occupavano di me, provavo simpatia o antipatia, come se fossi là fuori, nel mondo, e lentamente li conoscevo con i loro modi di fare, un po' con la loro storia, perché mentre mi pulivano e mi manovravano si raccontavano a vicenda cosa avevano fatto il sabato sera o quando sarebbe stata la cresima dei loro figli. Io non parlavo perché non potevo, anche se avrei voluto dire tante cose o rispondere alle battute. Mi lavavano con le spugne, perfetti sconosciuti mi vedevano in tutte le nudità e nessuno sembrava imbarazzarsi, tranne me. "Il
catetere, mettetelo al primo tentativo, vi prego" pensavo e speravo. Mi sporcavo come un bambino piccolo, ma ero una giovane donna. Comunicavo per la prima volta con le lettere o con matita e foglio, facevo gli scarabocchi, proprio come i bambini. Poi giocavo a tris, ascoltavo gli amici, quello che avevano da raccontarmi, quel che succedeva là fuori. Parlavo con la psicologa, faceva il mio stesso lavoro anche se in un contesto completamente diverso; anche io ero psicologa e volevo far capire che comunque ero qualcuno oltre che la ragazza-politrauma nella stanzetta singola del reparto. La "biscia, l'anaconda", i nomi con cui mi chiamavano amichevolmente alcuni miei curanti che mi vedevano muovere continuamente le gambe perché volevo andarmene da quel letto, effettivamente un po' mi rappresentavano in quel momento.
L'esperienza della rianimazione è anche fatta di incubi, o sogni che dir si voglia, allucinazioni, storie strampalate che hanno qualche elemento di verità. La bellezza della vita là dentro è stupirsi della propria voce che ritorna improvvisamente in modo incontrollato; la bellezza è sapere che hai mangiato uno yogurt alla banana ed hai risentito il sapore delle ciliegie che ti hanno portato i tuoi genitori. La vita in rianimazione non è ferma del tutto, nel letto puoi fare tante cose: pensare, osservare, dormire, piangere, emozionarti, sperare, pregare, comunicare, muovere su e giù lo schienale del letto automatizzato (che è un gran bel passatempo quando di notte non dormi). La rianimazione è impotenza, ma non totale. Sei ancora vivo e per quel tempo qualcosa ancora puoi fare. Quando non senti più niente, non senti più e quello non lo puoi nemmeno raccontare.
Ciò che viene dopo la rianimazione è un percorso lungo di ripresa, di "rimessa in sesto" ed è una lunga via che non sarà priva di ostacoli ma insegnerà un nuovo modo di vivere, di vedere sé stessi, gli altri, le cose.
Per me la rianimazione è stata una parte della mia vita, ero fragile ed ero immobile "come un uccellino con le ossa rotte", ma ho incontrato persone, ho vissuto per un po' come dentro ad un acquario. La vita si svolgeva al di fuori, ma si svolgeva anche là dentro ed ho aspettato. Ho aspettato tanto, che potessi tornare a far parte di quel "fuori". Nel frattempo, la cosa più importante, oltre al respiratore, ai farmaci che non mi facevano sentire i dolori, oltre agli interventi chirurgici, agli esami clinici che scandivano le giornate più movimentate, quello che per me era fondamentale, era la presenza umana.
La vicinanza umana e la compagnia di chi mi ama e di chi si occupava di me in quelle circostanze così estreme sono state la mia linfa vitale.
Voglio ringraziare una ad una quelle persone, le porto nel mio cuore e nei miei ricordi per sempre.Grazie per questo spazio.
Silvia